23 novembre 2011

Stazione ricevente a coherer

L’apparato qui presentato è una stazione radiotelegrafica ricevente a coherer molto semplice, contenente le sole parti essenziali, così come Marconi la concepì nella stanza dei bachi. Il cuore della stazione è il cicuito elettrico del coherer. Esso è costituito dall’alimentatore, dal coherer e dal relè.


L’alimentatore, di colore nero, è situato al centro della base e i suoi spinotti sono infilati nei due morsetti neri disposti sotto di esso, collegati, a loro volta, ai due morsetti neri collocati sulla base a sinistra; a questi ultimi  viene applicata la tensione di rete 220 V (si noti che quando si apre l’interruttore a clip sotto il coherer si accende la spia verde che segnala il passaggio di corrente). La tensione di uscita dall’alimentatore è continua ed è variabile da un minimo di 1,5 V ad un massimo di 12 V.


Il coherer è costituito dal solito tubetto di vetro nel quale, al posto dei cilindretti, ci sono due piccole lamine di argento, che pescano nel miscuglio di limatura (96% nichel e 4% argento). Ruotando le laminette è possibile variare lo spessore di limatura compresa tra loro e quindi la sensibilità del detector.


Per quanto concerne il relè ne esistono di tre tipi: quello amperometrico, identificato dalla torretta di ottone sulla parte laterale posteriore; quello milliamperometrico, identificato dalla bobina circolare a filo rosso e bianco; quello microamperometrico, identicato dalla scatolette di legno di rovere, presente al centro della parte laterale anteriore. Ciascun relè va utilizzato separatamente dagli altri e mai contemporaneamente a uno degli altri due.

Ognuno di questi tre relè di bassa potenza comanda il relè di maggiore potenza, che sarà identificato nel seguito con la sigla R2, posto a sinistra dell’alimentatore. La bobina eccitatrice di R2 funziona con la tensione di 12 V, la quale viene fornita dal trasformatore (220 V - 12 V) di colore grigio chiaro in alto a destra, alimentato dalla rete, insieme all’alimentatore, appena si apre l’interruttore a clip.

Relè microamperometrico

Il relè amperometrico, a struttura completamente di ottone, è costituito da una piccola elettrocalamita che, eccitata dalla corrente del circuito del coherer, attira un’ancora, che, a fine corsa, tocca un contatto fisso, permettendo così alla tensione di 12 V di eccitare il relè R2.

Il relè milliamperometrico è costituito dalla bobina circolare di filo rosso e bianco, fissata con barrette e aste filettate di ottone. Nel centro di essa è ubicato un ago magnetico, il quale ruota in un piano verticale, toccando a fine corsa, dopo l’eccitazione della bobina, un contatto fisso, consentendo a sua volta l’eccitazione del relè R2.

Il relè microamperometrico è racchiuso nella scatoletta di legno, posta sul davanti, quasi al centro; esso in pratica è un microamperometro il cui indice, deviando a seguito della corrente proveniente dal coherer, batte contro un semicilidretto di rame, eccitando il relè R2. Per facilitare la vista dell’ago, la scatoletta, sul davanti, ha una finestra coperta da una lente d’ingrandimento.


Per poter inserire nel circuito del coherer ognuno di questi tre relè, occorre azionare tre interruttori di tipo artigianale, posti ognuno al fianco del corrispondente relè. L’interruttore è costituito da una piattina di ottone arrotondata alle estremità, le quali presentano due fori: in un foro è infilata un’asta filettata di ottone che fissa, mediante quattri dadi la piattina alla base di legno di rovere, mentre nell’altro passa ugualmente un’asta filettata di ottone, fissata sulla base con due dadi, ma che non tocca la piattina perché nel punto di passaggio è disposto un collarino di plastica per l’isolamento. Al di sopra della piattina, sull’asta filettata, si avvita un nottolino d’ottone fino a toccarla, realizzando così il contatto elettrico. Sulla base è presente un quarto interruttore, in basso a sinistra, lasciato di riserva per eventuali future inserzioni.


Quando, sotto l’impulso delle onde elettromagnetiche, il coherer lascia passare la corrente nel suo circuito, viene eccitato uno dei tre relè inserito, il quale a sua volta attiva il relè R2, che trasferisce la tensione di rete ai due morsetti rossi in alto a sinistra, ai quali vanno poi collegati i morsetti della stampante Morse, che è stata riprodotta con alimentazione a 220 V. Contemporaneamente, la tensione di rete 220 V arriva al trasformatore (220 V - 12 V) di colore grigio chiaro, a destra del relè microamperometrico, il quale trasferisce la tensione di 12 V ai capi del decoherizzatore, posto subito dietro il coherer, e realizzato sfruttando una suoneria a 12 V, dotata di un martelletto ai cui capi di attacco e distacco della corrente è disposto un condensatore (in basso dietro il decoherizzatore) per ridurre l’azione nociva delle extracorrenti.


Quando si parla del coherer, la mente non può non andare alla stanza dei bachi, perché è proprio lì che il giovane Guglielmo intuì le grandi potenzialità di questo detector, portandolo a un grado di perfezionamento inimmaginabile per gli scienziati del suo tempo.

Relè amperometrico

Già nel 1884 il prof. Temistocle Calzecchi Onesti del Liceo Classico "Annibal Caro" di Fermo aveva scoperto che le polveri metalliche hanno la proprietà di opporre, per il soffice contatto dei granellini, una grande resistenza ad una corrente elettrica impedendone il passaggio; ma non appena vengono investite dalle onde elettromagnetiche la loro resistenza elettrica diminuisce notevolmente, diventando ottimi conduttori di corrente e riacquistando, una volta cessata la perturbazione elettromagnetica, la resistenza primitiva allorché esse subiscono scuotimenti o urti.

Tale scoperta era stata sfruttata da Edoardo Branly dell’Istituto Cattolico di Parigi per realizzare un rivelatore di onde, disponendo in un tubetto di vetro, tra due cilindretti metallici, una piccola quantità di limatura metallica. Altri coherer erano stati costruiti dal fisico inglese Oliver Lodge, il quale aveva fornito anche la spiegazione del fenomeno, attribuendola a piccolissime saldature tra i granellini di polvere metallica causate da microscopiche scintille, provocate dalle onde, tra gli stessi granellini. Di qui il nome coherer: dal latino coherère, che significa tenersi insieme, tenersi stretti. In definitiva i granellini di limatura sotto l’azione delle onde formerebbero, a due a due, tanti piccolissimi spinterometri, risplendenti di microscopiche scintille.


Questo era dunque lo stato dell’arte all’inizio dell’avventura marconiana, quando, cioè, nell’autunno del 1894, per intercessione della madre, al giovane Gugliemo furono offerti dal padre sostegno economico e uno spazio adeguato per realizzare il suo progetto: la stanza dei bachi, al secondo piano di Villa Griffone.

Marconi era già a conoscenza delle esperienze di Hertz e Righi e gli “sembrava impossibile che i più grandi scienziati non avessero ancora tentato di realizzare la trasmissione di segnali a distanza mediante le onde elettromagnetiche”. Nella stanza dei bachi aveva già gli apparecchi necessari: il rocchetto Rummkorff e il coherer. Guglielmo comprese subito che le sue cure dovevano essere rivolte principalmente al coherer: quelli visti sui libri e riviste e nel laboratorio di fisica del professore Righi, all’Università di Bologna, gli sembravano troppo rudimentali e capricciosi.

Comincia, allora, un paziente, metodico, incessante lavoro di costruzione e di prova; di distruzione, ricostruzione e riprova; di cambiamento di tubetti di vetro, cilindretti e limatura di chissà quanti metalli. Guglielmo, oltre che pioniere, conferma, ancora una  volta, la sua professione: inventore artigiano, un individuo, cioè, che costruisce gli apparecchi con le sue stesse mani. Proprio dalle sue mani uscirà il coherer gioiello, che gli darà tante soddisfazioni, anche nei confronti della concorrenza.

Ma esaminiamo il gioiello: si tratta di un tubetto di vetro del diametro interno di 4-5 mm, nel quale sono disposti due cilindretti di argento, tra i quali è posto il magico miscuglio di limatura, composto da nichel al 96% e argento al 4%, dello spessore di circa 1 mm. Infine il tocco di genio: nel tubetto di vetro è stato praticato il vuoto con una macchina a mercurio. Il vuoto proteggerà i cilindretti e le polveri metalliche dai fenomeni di degrado e ossidazione, causati dalle microscopiche scintille che scoccheranno tra i granellini di limatura. Tutto questo è genialità ed è avvenuto nella umile stanza di una soffitta. Coherer di questo tipo saranno in grado di funzionare anche per decenni nelle sue stazioni telegrafiche, senza incovenienti.


Ma l’artigiano non ha perso tempo: durante questo lavoro di perfezionamento ha cominciato, sempre nella soffitta, le prove di trasmissione e ricezione.

In un primo momento ricorda che il professore Righi aveva dimostrato la perfetta identità della natura delle onde elettromagnetiche e delle onde luminose. Quindi, se si vuole aumentare la distanza di trasmissione, basta adoperare degli specchi come per la luce. Gulielmo usa specchi, ricavati da bidoni di latta, prima piani e poi cilindrici, ponendo nei loro fuochi lo spinterometro e il coherer.

Le cose migliorano ma non secondo i desideri del pioniere, fino a quando una mattina il genio, quasi per caso, collega con un filo verticale un’estremità dello spinterometro ad una lastra metallica, issata su un’asta di legno, e, con un secondo filo, l’altra estremità ad una lastra di rame poggiata a terra; quindi collega i terminali del coherer allo stesso modo.

Ora la prova: il risultato è eccezionale, le distanze di trasmissione aumentano. La stanza dei bachi non è più sufficiente; Marconi deve spostarsi sul prato di Villa Griffone; adesso usa pertiche di legno che hanno in alto una croce di legno orizzontale, alle estremità della quale sono appesi quattro bidoni di latta e non più la lastra; le distanze di trasmissione aumentano in maniera impressionante e tanto più, quanto più aumenta l’altezza della pertica, fino a superare la collinetta davanti alla casa, arrivando fino alla collina dei Celestini, ad oltre 1.500 metri di distanza (evento segnalato dal famoso colpo di fucile).

Il giovane Guglielmo, a questo punto, ha davvero inventato qualcosa di grande: il dispositivo necessario per irraggiare e captare le onde, l’antenna marconiana, un filo aereo verticale collegato a terra. Più tardi Marconi, grande sperimentatore, si accorgerà che l’altezza ottimale  del filo è quella uguale a un quarto della lunghezza d’onda, ma che si pùò anche modificare inserendo lungo il filo induttanze o capacità.

Decoherizzatore

Ora che il sistema è pronto per trasmettere e ricevere segnali, occorre comunicare a distanza, cioè trasmettere e ricevere segnali intellegibili, e pertanto necessita di una ricevente Morse e di un decoherizzatore. Ma la macchina Morse ha bisogno di maggiore tensione, 12 V, e quindi non può essere inserita nel circuito del coherer, che deve essere eccitato da una tensione minore (1,5 -2 V) per evitare danni. Allora bisogna inserire un relè, che, eccitato dalla corrente del circuito del coherer, lascerà passare la corrente di una nuova batteria, che alimenterà la macchina Morse e il decoherizzatore.

Questi nuovi dispositivi - relè, decoherizzatore e macchina Morse - hanno dispositivi elettromagnetici con contatti che si attaccano e si distaccano e quindi che producono extracorrenti, le quali generano perturbazioni notevoli nel circuito del coherer, che non riesce, nonostante gli urti, a decoherizzarsi in maniera sincrona con le durate di tempo del punto e della linea. E’ un gravissimo inconveniente perchè i segnali ricevuti sono illegibili.

Guglielmo si mette subito a lavoro e, dopo un attento studio e ripetute sperimentazioni, comprende che, per ridurre al minimo quelle micidiali perturbazioni, occorre disporre, su tutti i dispositivi elettromagnetici e specie sui punti di attacco e distacco delle correnti, delle resistenze antinduttive. Le costruisce personalmente: prende delle provette di vetro che riempie di una soluzione di acqua e acido solforico e in ciascuna di esse immerge una striscetta di stoffa le cui estremità sono serrate da fili metallici che fuoriescono dalla provetta. Le resistenze sono pronte e vengono sistemate ai posti giusti su tutti i dispositivi elettromagnetici. Ora tutto funziona perfettamente.


Il giovane inventore adesso è più sicuro e sereno: scrive al ministro delle Poste Italiane per illustrare il suo lavoro e per reperire finanziamenti. La trattativa non va in porto e l’inventore artigiano è costretto a sbarcare in Inghilterra, dove viene calorosamente accolto dal gallese William Henryn Preece, direttore delle Poste e Telegrafi di Londra. Riceverà ammirazione e l’aiuto necessario per finanziare i suoi esperimenti.

Il giovane ha portato con sé a Londra molti dei suoi apparati costruiti a villa Griffone, in particolare i suoi sensibilissimi coherer. Proprio con questi  effettuerà numerose prove di radiotelegrafia a Londra, tra la piana di Salisbury e Bath, nel canale di Bristol, seguirà in diretta le regate di Kingstown, supererà il canale della Manica collegando il Faro di South Foreland e la citta Vimereux, nei pressi di Boulogne, in Francia e infine farà volare le onde sull’Atlantico, da Poldhu fino a Signal Hill, il 12 dicembre 1901.

Relè milliamperometrico

I suoi coherer si sono comportati benissimo, hanno dato il massimo, ma nella primavera del 1902 Marconi inventa un rivelatore tutto suo, il detector magnetico: più affidabile e maneggevole, non ha bisogno di batterie. In pochissimo tempo il nuovo apparato sostituirà il tubetto di vetro, che si godrà il meritato riposo. Poi, subito dopo, arriveranno la galena, il carborundum e le valvole termoioniche, che soppianteranno tutti i vecchi apparati trasmittenti e riceventi e consentiranno non solo la radiotelegrafia, ma anche la radiofonia, la televisione, il radar e tante altre realizzazioni.


Questa è la storia del coherer, cominciata con il giovane Guglielmo nella stanza dei bachi e proseguita con febbrile attività fino alla comparsa del detector magnetico. Eppure, oggi, a distanza di oltre un secolo, il fascino di quel semplice tubetto è ancora magico, tanto da generare in molti appassionati un irresistibile desiderio di realizzarlo e provarlo, suscitando, certamente, ricordi indimenticabili ed emozioni inenarrabili.


Coherer


3 commenti:

  1. Temistocle Calzecchi Onesti inventò il Coherer nel 1884, quando era professore di Fisica presso il Liceo Classico A.Caro di Fermo, nelle Marche, come risulta da: "Sulla conduttività elettrica delle limature metalliche" ("Il Nuovo Cimento", Gabinetto di Fisica del R.Liceo "A.Caro" di Fermo, fascicolo di Luglio-Agosto-Settembre 1884, 18 giugno 1884).

    fabio.panfili@live.it

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  2. Ti ringrazio per la precisazione. Provvederò al più presto ad aggiornare il testo.

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  3. MARCONI Guglielmo (Bologna 25-4-1874 - Roma 20-7-1937). Nell'estate dei 1894, ventenne, a Pontecchio, nei pressi di Bologna, Marconi, utilizzando il segnalatore di scariche elettriche atmosferiche ideato dieci anni prima dal Prof. Calzecchi-Onesti, compì i primi esperimenti di telegrafia senza fili a breve distanza. Le trasmissioni venivano effettuate con antenna e presa di terra collegate ad un rocchetto di RuhmIkorff.
    Il giorno 3 ottobre 1894 venne per la prima volta stabilita una comunicazione via radio tra due punti situati ad una distanza di circa 50 metri. Tale distanza venne quindi aumentata gradualmente etc etc.

    Al giovane Marconi il merito di avere affinato le capacità del coherer per aumentarne la sensibilità al punto da rivelare i deboli segnali inviati da una trasmittente a scintilla.

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