3 luglio 2014

Stazione radiotelegrafica ricevente con detector tipo coherer

La stazione radiotelegrafica ricevente qui riprodotta è una ricostruzione, non una replica, di quella conservata nel Museo della scienza di Londra. Tutti i suoi componenti hanno, però, la stessa forma dell’originale e sono stati realizzati rigorosamente a mano, inserendo tutti i perfezionamenti apportati dallo stesso Marconi fino al 1899, dopo un’accuratissima sperimentazione. Quest’apparato può essere considerato, a ben ragione, la prima radio commerciale, perché è il primo ricevitore wireless dotato di una buona sensibilità, di una discreta selettività e di una sicura affidabilità.

La stazione non è stata costruita in blocco su un’unica base, bensì in quattro moduli distinti ma collegabili tra loro, ognuno dei quali sarà oggetto di trattazione specifica: coherer, quadro sintonico, batteria A e batteria B. Essi sono separati, ma, come già detto, collegabili tra loro, anche parzialmente per poter meglio comprendere la singola funzione.

Coherer

Quadro sintonico

Batteria A

Batteria B

Il primo modulo, denominato coherer, comprende l’insieme coherer-decoherer e il relè polarizzato. Il secondo modulo, denominato quadro sintonico, comprende il jigger, le reattanze di blocco e i condensatori. Il terzo modulo, denominato batteria  A, costituisce l’alimentazione del circuito del coherer e del relè polarizzato. Il quarto modulo, denominato batteria B, costituisce l’alimentazione del decoherer e della stampante Morse o del sounder

Prima di addentrarci nella minuta trattazione dei singoli moduli, sembra opportuno richiamare il cammino di Marconi.

Inizia l’avventura

Quando Marconi, allora ventenne, nell’estate del 1894, era in visita al Santuario della Madonna Nera di Oropa, sulle montagne biellesi, avendo già appreso della morte prematura di Hertz, ebbe la forte ispirazione di mettere a punto un sistema di comunicazioni senza filo. Così ricorda Marconi: “Contemplando il Biellese, pensai che l’uomo potesse trovare nello spazio nuove energie, nuove risorse e nuovi mezzi di comunicazione”.

Nell’autunno di quello stesso anno il giovane Guglielmo entrò nel suo laboratorio, la famosa stanza dei bachi, nella soffitta di Villa Griffone, in località Pontecchio (Bologna). Lì aveva a disposizione tutti gli apparecchi, già inventati da altri, per poter realizzare la sua intuizione: le comunicazioni wireless. Lo confermerà lo stesso Marconi in una sua conferenza: “Fin dal 1895, all’inizio dei miei primi esperimenti, io ebbi la forte intuizione, direi quasi la visione chiara e sicura, che le trasmissioni radiotelegrafiche sarebbero state possibili attraverso le più grandi distanze”.

Si trattava di esaminare attentamente  tutti i dispositivi conosciuti e di organizzare, come nella telegrafia Morse, un trasmettitore e un ricevitore; idea che non era venuta in mente a nessuno dei grandi fisici del tempo: Temistocle Calzecchi Onesti, Popov, Lodge, Branly, Righi. Anzi quest’ultimi erano molto scettici circa la realizzazione di un sistema di comunicazione senza fili, perché, forse, ancora legati al solo concetto del fenomeno dell’induzione, che, decadendo rapidamente con il quadrato della distanza, non avrebbe mai consentito di comunicare a  grandi distanze.

Eppure in una formula di Maxwell sul campo elettromagnetico è dimostrato, ad esempio, che il campo magnetico, generato da una corrente oscillante, è, a sua volta,  somma di due campi: uno, chiamato campo d’induzione, che decresce con il quadrato della distanza; l’altro, chiamato campo di radiazione, che decresce con la distanza. La differenza tra questi due campi è notevolissima: l’effetto del campo d’induzione passa dal trasmettitore al mezzo solo se esiste un ricevitore capace di assorbirlo, altrimenti ritorna al trasmettitore; invece l’energia del campo di radiazione è interamente perduta dal trasmettitore, anche se non esiste un ricevitore capace di assorbirlo, irraggiandosi continuamente in tutte le direzioni. Ovviamente le stesse considerazioni valgono per il campo elettrico prodotto da un campo magnetico oscillante. Questa è la realtà di un campo elettromagnetico, che è un concatenarsi continuo di linee di forza elettriche e magnetiche.

Nessuno dei grandi fisici del tempo aveva riconosciuto l’importanza del campo di radiazione, figuriamoci un giovane ventenne, come Marconi, che non aveva conseguito neanche un diploma, ma aveva solo studiato fisica (prima con il prof. Giotto Bizzarrini e, poi, con il prof. Vincenzo Rosa) e assistito ad alcune lezioni sulle onde elettromagnetiche del professore Augusto Righi all’Università di Bologna. Eppure, nel 1895, questo giovane scoprirà l’importanza del campo di radiazione, inventando, quasi per caso, l’antenna, collegando i due estremi dello spinterometro del trasmettitore: uno a un filo aereo e l’altro ad una piastra metallica interrata e facendo lo stesso per le due estremità del coherer nel ricevitore. Non solo inventerà l’antenna, ma comprenderà subito che tra l’altezza del filo aereo (H) e la distanza di trasmissione (D) esiste una relazione matematica ben precisa:

H = k√D

dove H e D sono espressi in metri e k è un coefficiente che vale circa 0,15.

Allorquando Marconi cominciò la sua avventura nella stanza dei bachi, la conoscenza scientifica sull’impiego delle onde elettromagnetiche si manifestava con dimostrazioni, dentro le mura di un laboratorio, di segnali trasmessi con vari tipi di oscillatori e captati con vari risuonatori, sfruttando solo il campo d’induzione e solo per stupire i presenti.

Il coherer

Chiuso nella stanza dei bachi, in quell’autunno del 1894, Marconi cominciò ad analizzare con grande scrupolosità tutti gli apparati a sua disposizione, già inventati e utilizzati dagli altri.

Per quanto riguarda il trasmettitore, aveva il rocchetto di Ruhmkorff, condensatori, bottiglie di Leida, oscillatore di Righi a quattro sfere, delle quali le due centrali immerse in olio di vasellina, eventualmente altri tipi di spinterometro, facilmente costruibili, batterie, fili. Si convinse subito che sul trasmettitore c’era poco da lavorare perché i suoi componenti erano affidabili essendo già da tempo ben conosciuti e adoperati da molti ricercatori, anche per altri scopi. Si poteva acquistare, eventualmente, un rocchetto di maggiore potenza.

Per il ricevitore, invece, bisognava realizzarlo ex novo; aveva, però, a disposizione il coherer, elettrocalamite, tremoli, campanelli elettrici, stampante Morse, batterie, filo elettrico. L’attenzione di Marconi si rivolse subito all’unico detector di onde elettromagnetiche allora conosciuto: il coherer.

Il coherer è costituito da un tubetto di vetro al cui interno, tra due cilindretti metallici, è contenuta della limatura metallica. Questo apparecchio sfrutta la proprietà delle limature metalliche di diventare conduttrici di corrente elettrica allorché sono investite da onde elettromagnetiche e di ritornare allo stato iniziale quando, cessata l’azione delle onde elettromagnetiche, vengono impressi al tubetto di vetro dei leggeri urti mediante una sferetta metallica o un bastoncino qualsiasi: l’importante è colpire il tubetto in maniera da far muovere al suo interno la polvere metallica. Quest’importante proprietà delle polveri metalliche fu scoperta dal professore Temistocle Calzecchi Onesti, il quale studiò, con metodo rigorosamente scientifico, il fenomeno, lasciando numerose pubblicazioni.

La teoria del coherer rientra in quella dei contatti imperfetti, ad esempio un pezzo metallico sofficemente adagiato su un altro pezzo metallico, specie se uno dei due è molto appuntito. Per chi vuole approfondire tale teoria si rimanda al meraviglioso libro: “La telegrafia senza filo” di A. Righi e B. Dessau, edito da Zanichelli, 1903, parte I, cap.III, par. 36, pag  207. Il paragrafo 36 tratta ampiamente la resistenza dei contatti imperfetti. Lungi dal considerare banale il funzionamento del coherer, il lettore dell’anzidetto paragrafo potrà facilmente rendersi conto che grandi fisici hanno studiato il comportamento di questo detector, ricavando leggi, diagrammi, nuovi tipi, modifiche del tubetto e si può dire che a tutt’oggi non esiste una certezza assoluta sul suo funzionamento.

Interessante sembra la teoria del fisico inglese Lodge che spiega il fenomeno del coherer nel seguente modo: la polvere metallica del tubetto, stante il soffice contatto tra i granelli di polvere metallica, offre una fortissima resistenza (circa 2000 ohm). Non appena, però, sul tubetto arrivano onde elettromagnetiche, tra granello e granello di polvere, considerata la microscopica distanza, si producono altrettante microscopiche scintille, che saldano leggermente tra loro i granelli, abbassando la resistenza della polvere a qualche centinaio di ohm, consentendo il passaggio di una corrente elettrica facilmente rivelabile. Quando cessa l’azione delle onde basta dare al tubetto di vetro dei piccoli colpi per spezzare le microscopiche saldature e ripristinare la resistenza iniziale della polvere metallica; si possono captare, in tal modo, altre onde e così via, rendendo possibile una trasmissione di segnali.

I dubbi che tormentavano Marconi  nella soffitta erano certamente questi: com’era possibile essere certi di aver costruito il migliore coherer, quello più sensibile, quello più stabile, in definitiva il coherer più affidabile? Quali dovevano essere le dimensioni ottimali del tubetto di vetro? Quali quelle dei cilindretti? Con quale metallo o lega dovevano essere costruiti gli stessi cilindretti? Di quale metallo o di quale miscuglio doveva essere costituita la polvere metallica? Quali dovevano essere le proporzioni ottimali dei miscugli? Quale doveva essere la perfetta distanza tra i cilindretti? Quanta polvere metallica o miscuglio occorreva collocare tra i cilindretti? Questa polvere o miscuglio doveva essere compressa o no?

Cominciò così un paziente e meticoloso lavoro di sperimentazione: chissà quanti metalli avrà limato e quanti miscugli avrà provato, quanti cilindretti avrà costruito con diversi metalli, quanti tubetti di vetro avrà vagliato, quanti spessori della polvere metallica avrà esaminato! Quanta sperimentazione!

Alla fine, però, il detector perfetto è pronto. Così lo descrive lo stesso Marconi: “Il mio tubetto è accuratamente costruito, assolutamente affidabile, e con esso il relè e il decoherer, detto anche tapper o tremolo possono lavorare con regolarità. Il tubetto sensibile contiene due tappi metallici connessi al circuito della batteria e tra i quali è sistemata la polvere di un materiale conduttore. I due tappi devono essere fatti preferibilmente in argento, o possono essere pezzetti di spesso filo d’argento dello stesso diametro dell’interno del tubetto, così che facciano chiusura ermetica. I tappi sono collegati con due fili di platino ad entrambe le terminazioni. Per produrre la polvere metallica possono essere impiegati molti metalli, ma io preferisco un miscuglio di due o più metalli diversi. Ho trovato che il nichel crudo è il metallo migliore, e preferisco aggiungere alla limatura di nichel il 4% di limatura di argento crudo, che aumenta notevolmente la sensibilità del tubetto alle oscillazioni elettriche. Aumentando la proporzione di grani o polvere d’argento la sensibilità del tubetto aumenta; ma per il normale lavoro è meglio non usare un tubetto troppo sensibile, che può essere influenzato da disturbi atmosferici od altra elettricità. La sensibilità può essere aumentata anche aggiungendo una quantità molto piccola di mercurio alla limatura, mescolata fino a che il mercurio è assorbito. Il mercurio non deve essere in quantità tale di far grumi o pane con la limatura: una goccia appena percettibile è sufficiente per un tubetto. Invece di mischiare il mercurio con la polvere, si può ottenere lo stesso effetto amalgamando leggermente le facce interne dei tappi che sono in contatto con la limatura. Va usato pochissimo mercurio, appena sufficiente per far brillare la superfice senza che si veda mercurio libero o goccioline. La dimensione del tubetto e la distanza tra i tappi può variare entro certi limiti: maggiore è lo spazio per la polvere, maggiore deve essere la grana della limatura o dei grani. Io preferisco fare il tubetto della seguente dimensione: il tubo è di  lunghezza uguale a 1 ½ pollice (3,81 cm) per 1/10 (2,54 mm) o 1/12 (2,11 mm) di diametro interno. La lunghezza dei tappi è circa ½ pollice (1,27 mm) e la distanza tra essi è circa 1/30 di pollice (o,846 mm). Ho trovato che più piccolo o più stretto è lo spazio e maggiore è la sensibilità; ma in circostanze ordinarie lo spazio non dev’essere troppo piccolo per non nuocere alla fedeltà della trasmissione. Occorre molta attenzione di fare precisi i tappi d’argento, altrimenti la limatura può uscire dallo spazio tra gli arresti, cosa che distruggerà rapidamente il buon funzionamento del tubetto. La polvere non dev’essere fine, ma piuttosto grossolana,come si può produrre con una lima grande e di grana grossa. La polvere preferibilmente dev’essere di grana e spessore uniforme. Tutta la polvere eccessivamente fine o grossa deve essere rimossa soffiando o setacciando. E’ anche opportuno che la polvere od i grani siano asciutti e esenti d grasso o sporco, la lima deve essere lavata ed asciugata frequentemente ed usata quando è calda. La polvere non deve essere compressa tra i tappi, ma piuttosto sciolta in modo che, quando il tubetto è scosso, si muova liberamente. Il tubo dev’essere sigillato, ma il vuoto interno non è essenziale, salvo un leggero vuoto che risulta dal riscaldamento alla sigillatura. Va anche fatta attenzione a non scaldare troppo il tubetto al centro, quando si sigilla, cosa che ossiderebbe le superfici dei tappi e della polvere riducendo la sensibilità. Io ho usato fiamma ad idrogeno e aria. In ogni modo il vuoto è desiderabile, ed io ho usato circa 1/1000 di atmosfera ottenuta da una pompa al mercurio. In questo caso si sistema lateralmente  un tubettino di vetro, che è messo in comunicazione con la pompa e, dopo, sigillato in maniera ordinaria. Il tubetto dev’essere ben fatto, dev’essere sensibile all’effetto induttivo di una normale suoneria a distanza di una yarda (0,9144 m) o due yarde (1,8288 m) dal tubetto. Un tubetto sensibile ben preparato deve anche interrompere istantaneamente il passaggio di corrente con un leggero urto o scossa, se è inserito in un circuito con bassa autoinduzione e piccola f.e.m. Allo scopo di tenere il tubetto in condizioni ottimali di lavoro, è bene, ma non obbligatorio, che non ci passi più di 1mA, quando funziona. Se è necessaria una corrente più forte, vanno messi in parallelo più tubetti, procurando che tutti siano scossi od urtati dal tremolo; ma questa disposizione non è soddisfacente come quella di un tubetto singolo. E’ anche preferibile, quando usiamo un singolo tubetto, non inserire nel circuito più di un elemento tipo Leclanchè, come una tensione di oltre 1,5 volt per far passare corrente nel tubetto, persino quando non è trasmessa l’oscillazione. In ogni modo posso costruire un tubetto che lavori con forza elettromotrice più elevata. In questo tipo di tubetto, invece di uno spazio riempito di limatura, ci sono vari spazi, separati da tappi di filo d’argento ben precisi. Tubetti così costruiti, rispettando anche le altre regole, lavorano bene con una tensione uguale a 1,2 volt moltiplicata per il numero degli spazi. Anche con questi tubetti è bene non superare la corrente di 1mA”.

C’è da aggiungere, come confermato dallo stesso Marconi, che coherer, costruiti secondo le sue indicazioni, hanno funzionato per oltre 10 anni senza alcun incoveniente.

Il funzionamento del coherer

Passando a esaminare più minuziosamente il funzionamento del coherer, ci si accorge subito che questo detector deve compiere due operazioni fondamentali: la coherizzazione e la decoherizzazione.

La coherizzazione è la proprietà di lasciar passare subito la corrente appena arrivano le onde elettromagnetiche, cioè, più scientificamente, la proprietà di diminuire la resistenza della polvere metallica da circa 2000 ohm a circa 200 ohm. La decoherizzazione, invece è la proprietà inversa, quella di interrompere subito il passaggio di corrente, appena cessa l’arrivo delle onde elettromagnetiche, cioè, più scientificamente, la proprietà di aumentare la resistenza della polvere metallica da cica 200 ohm a circa 2000 ohm. Per compiere la prima operazione servono le onde elettromagnetiche. Per compiere la seconda operazione sevono gli urti o le scosse alla polvere metallica; serve in pratica un altro dispositivo: il decoherizzatore o tremolo o tapper.

Questo dispositivo è nella sostanza un campanello elettrico. Per realizzarlo serve un’elettrocalamita, preferibilmente a ferro di cavallo, fissata su una base; serve, poi, un’ancora, in genere di forma rettangolare allungata, di ferro dolce, collegata a un’estremità a una sferetta di ottone e fissata all’altra estremità a una laminetta elastica di acciaio armonico, che funge da molla di richiamo, a sua volta fissata opportunamente alla base, in maniera che la sferetta di ottone possa urtare il tubetto rivelatore.

Per ottenere il movimento oscillatorio dell’ancora e quindi della sferetta di ottone è necessario un contatto intermittente; quest’ultimo si realizza inviando dalla batteria la corrente in una piattina di ottone, fissata per un’estremità alla base e munita all’altra estremità di un foro filettato nel quale può avvitarsi o svitarsi un’asta filettata di ottone, terminante all’estremità inferiore con un nottolino per la regolazione e all’estremità superiore con una  punta, la quale tocca il congegno dell’ancora sul quale è fissato un capo della bobina dell’elettrocalamita; così la corrente passa nella bobina ed esce dall’altro capo ritornando alla batteria.

Appena passa la corrente nell’elettrocalamita, l’ancora viene attratta e si stacca dalla punta dell’asta filettata del contatto intermittente. L’elasticità della laminetta di acciaio armonico richiama indietro l’ancora sulla punta di ottone e la corrente può di nuovo circolare e l’ancora viene di nuovo attratta interrompendo di nuovo il passaggio di corrente e cosi via. In tal modo si hanno alternanze di attrazioni  e di richiami all’indietro dell’ancora che comincia quindi ad oscillare, trascinando in questo modo anche la sferetta di ottone del tremolo, la quale ha quindi la possibilità di urtare contro il tubetto per decoherizzarlo. Preferibilmente, come suggerisce Marconi, il movimento della sferetta deve essere leggermente verso l’alto, così da prevenire che la limatura faccia pane. E’ preferibile che i colpi siano secchi e decisi.

Le due operazioni di coherizzazione e decoherizzazione devono essere eseguite con grande rapidità, seguendo perfettamente la durata dei treni d’onde smorzate, emessi dal trasmettitore: solo così è possibile imprimere sul nastro di carta della stampante Morse esattamente i punti, sempre delle stesse dimensioni, e le linee pure sempre delle stesse dimensioni e corrispondenti perfettamente al messaggio che si vuole trasmettere. In caso contrario i punti potrebbero diventare linee, anche diverse tra loro, e le linee diventare segmenti molto lunghi, o tratti di segmenti  di diversa lunghezza, o addirittura successione caotica di punti, generando una confusione tale da rendere indecifrabile il messaggio.

E’ opportuno che il tremolo sia attivato da un’altra batteria, diversa da quella inserita nel circuito del coherer, la quale fornisce solo 1.5 volt per non danneggiarlo, mentre il tremolo necessita di una batteria di 9 volt, con la quale si può alimentare pure la stampante Morse. Ovviamente si può impegnare una batteria più robusta, se necessario. Perciò è opportuno inserire, in serie, nel circuito del coherer un relè, per trasferire la tensione di 9 volt della nuova batteria  al tremolo e alla macchina Morse.

E’ preferibile il più possibile che il relè sia in grado di funzionare, stabilmente, con una corrente di 1 mA o anche meno, poichè questo è l’ordine di grandezza della corrente che circola nel tubetto. Fortunatamente questi  relè erano già disponibili, perchè usati nella telegrafia, e conosciuti con il nome di relè telegrafici  o anche polarizzati. Questo tipo di relè è un vero gioiello: ineguagliabile sia per sensibilità anche a correnti debolissime, sia per rapidità di risposta, sia per stabilità.

Il relè polarizzato

Il relè polarizzato impiegato da Marconi nelle sue stazioni riceventi basa il suo funzionamento sull’interferenza di tre campi magnetici, dei quali due permanenti (da qui l’aggettivo polarizzato) e uno temporaneo, prodotto dalla corrente che circola nella sua bobina.

I due campi magnetici permanenti assicurano stabilmente la posizione del contatto di riposo dell’ancora. Non appena passa una debolissima corrente nelle bobina, l’equilibrio precedente viene rotto e l’ancora subisce una piccolissima rotazione, attivando il contatto di lavoro e facendo così fluire la corrente della batteria di 9 volt al decoherer e alla stampante Morse o a qualsiasi altro dispositivo quale il sounder. Al cessare del passaggio della corrente si ripristina l’equilibrio precedente, cioè la posizione di riposo. Come si nota non esiste alcuna molla, pertanto non esiste alcuna inerzia a tutto vantaggio della rapidità di commutazione.

L’impiego di questi relè, in radiotelegrafia, ha consentito di superare grandi distanze: infatti, quando si aumenta la distanza di trasmissione, il segnale si indebolisce e la coherizzazione del tubetto diminuisce, cioè la diminuzione della resistenza è modesta e la corrente che riesce a passare nel coherer è debolissima, ma ancora in grado di azionare questi sensibilissimi relè.

Più avanti sarà descritto minuziosamente un tale apparecchio, costruito artigianalmente per la stazione radiotelegrafica in oggetto.

E’ opportuno che tutti questi dispositivi - coherer, decoherer e relè - siano realizzati con opportuni, numerosi ed efficienti sistemi di regolazione, sia per stabilire con precisione la loro posizione rispetto alla base, sia per stabilire con altrettanta precisione la loro posizione relativa e sia anche per stabilire esattamente le posizioni relative, delle varie parti di uno stesso congegno. A volte sono sufficienti regolazioni di qualche decimo di millimetro per cambiare completamente il funzionamento in meglio o in peggio.

Un inconveniente serio

Ma esiste un problema serio, molto serio, che mette a rischio tutto il sistema di realizzare una comunicazione wireless regolare e affidabile. Infatti, dopo aver assemblato tutti gli apparati della stazione ricevente, Marconi si accorse che la decoherizzazione del tubetto di vetro era caotica, non sistematica anzi, addirittura impossibile. Non fu necessario molto tempo al giovane, che costruiva i dispositivi con le sue stesse mani, per individuare le cause del problema.

Tutti i dispositivi funzionano non con continuità ma solo per intervalli di tempo corrispondenti alla durata di un punto e a quella di una linea, e, quando si riceve un messaggio, di punti e di linee bisogna stamparne molti e, quindi, le attivazioni e le interruzioni dei circuiti sono numerose. In più il tremolo ha necessariamente un contatto intermittente, che dura per tutta la durata di un punto e di una linea; ma c’è un altro contatto intermittente, quello del relè, che si attiva all’inizio di un punto e di una linea e si disattiva alla fine di un punto e di una linea. Infine nel tremolo e nel relè sono presenti bobine cioè induttanze. Pertanto, durante il funzionamento del ricevitore, si verificano moltissime aperture e chiusure dei cicuiti elettrici, le quali, come è noto, producono fenomeni di autoinduzione e quindi extracorrenti di apertura e chiusura alle quali il coherer è molto sensibile.

Ma poi c’è lo scintillio sul contatto intermittente del tremolo che è posizionato a pochi centimetri dal tubetto, ed ancora lo scintillio sul contatto intermittente del relè, che è più distante di quello del tremolo, ma sempre a distanza modesta di qualche decina di centimetri. Nella stessa polvere del detector passa una corrente che circola a regime solo per un brevissimo intervallo di tempo, perché anch’essa soggetta ad apertura e chiusura.

Le extracorrenti sono delle correnti variabili che durano per tutto il regime transitorio di apertura e chiusura di un circuito elettrico e pertanto esse producono flussi variabili che concatenandosi con le spire delle induttanze, presenti nel circuito, generano forze elettromotrici contrarie alla causa che le ha generato (legge di Lentz), e precisamente  una f.e.m. discorde con quella della batteria, che alimenta il circuito, al momento della chiusura  e concorde al momento dell’apertura. Se nel punto di distacco la distanza tra i contatti è dell’ordine anche di pochi decimi di millimetri, lo strato d’aria rappresenta una resistenza grande e l’extracorrente di apertura genera una extratensione che si dissolve sotto forma di scintillio.

Come si può notare queste aperture e chiusure dei circuiti generano notevoli perturbazioni nei circuiti, in special modo scintillii, che influenzano molto il funzionamento del coherer, in special modo la decoherizzazione, rendendola irregolare, caotica, quasi impossibile. Non si dimentichi che molti appassionati, per dimostrazioni con coherer autocostruiti, usano scintille di accendini piezoelettrici.

Perfezionamenti

Il modo più semplice per eliminare questi inconvenienti sarebbe quello di utilizzare condensatori di opportuna capacità. Ma è molto interessante la soluzione a questi problemi adottata da Marconi, che così la illustra: “Un ulteriore miglioramento ha per oggetto prevenire i disturbi elettrici provocati dal tremolo e da altri apparati vicini al tubo, al quale potrebbero restituire la conduttività dopo averla eliminata. Questo l’ottengo disponendo, in parallelo alle bobine del tremolo e del relè e ai contatti intermittenti degli stessi, delle resistenze elevate con la minima autoinduzione possibile.L’azione delle resistenze elevate è tale che, mentre prevengono che qualsiasi quantità apprezzabile di corrente le attraversi, facendo funzionare l’apparato, nello stesso tempo permettono un comodo percorso per correnti ad alta tensione che si formano  nel momento in cui il circuito è interrotto; perciò previene scintillamento ai contatti o improvvisi strappi di corrente, il che potrebbe riattivare e mantenere la conduttività del tubetto sensibile. Queste bobine è convienente siano avvolte con filo in doppio (possibilmente di platinoide) per prevenire autoinduttanza”.

Circa il valore di queste resistenze antinduttive Marconi consiglia un valore pari a 3-4 volte il valore della resistenza della bobina dello strumento da proteggere, mediamente 3000-4000 ohm. Stesso ordine di grandezza per la resistenza antinduttiva da disporre ai capi del contatto intermittente del tremolo. Invece sul contatto intermittente del relè, che deve attivare il contatto di una batteria più robusta di quella del coherer, in un primo tempo, consigliava una resistenza a liquido, costituita da una serie di circa dieci tubetti, riempiti con una soluzione di acqua e acido solforico e disposti in serie.In un secondo tempo dirà: “al posto delle resistenze ad acqua può essere usata una resistenza a doppio avvolgimento di platinoide di circa 20.000 ohm”.

La resistenza a liquido, anche se poco pratica, ha però un vantaggio: infatti essa non svolge solo la funzione di una resistenza ma anche quella di una capacità: questo perché, al passaggio della corrente nella soluzione acidulata dei tubetti, si verifica il fenomeno di elettrolisi, che sviluppa gas in corrispondenza degli elettrodi, isolandoli, e quindi generando l’effetto capacitivo che s’interrompe al cessare del fluire della corrente.

Marconi stesso poi conclude: “Si possono sostituire tutte le suddette resistenze con condensatori adatti, ma io preferisco usare bobinette di platinoide e resistenze ad acqua”.

La sintonia

Una delle critiche più frequenti che venivano fatte a Marconi era quella che il suo sistema di telecomunicazioni era priva di selettività: la comunicazione poteva essere captata da qualsiasi ricevitore in funzione, venendo meno la segretezza. Il problema era stato già affrontato dal fisico inglese Lodge e Marconi per accelerare le tappe fu costretto a comprare il brevetto. Insieme al capitano Kennedy, però, migliorò di gran lunga la sua efficienza, stupendo molto i suoi concorrenti.

Realizzare un sistema sintonico con le onde smorzate, le uniche conosciute a quell’epoca, era un’impresa molto difficile, perché, da  uno sviluppo in serie si evince che questo tipo di onde, a differenza di quelle continue o persistenti, sono composte da armoniche molto vicine alla frequenza fondamentale, per cui riesce difficile l’accordo su un’unica frequenza.

Il sistema sintonico di Marconi impiegava un trasformatore senza nuclei di materiale ferromagnetico; gli avvolgimenti erano realizzati in aria e ciò perchè, data l’altissima frequenza, le correnti circolanti in essi avrebbero prodotto, in un materiale ferromagnetico, perdite per isteresi e  correnti parassite enormi. Questo trasformatore è chiamato jigger ed è sempre presente nei circuiti sintonici.

Il primario è costituito da un un unico avvolgimento di filo di rame rivestito di seta, del diametro di 0,10-0,15 mm, su un cilindro di vetro o altro materiale isolante, avente il diametro di 1 cm o poco  più, per un numero complessivo di spire variabile da 100 a 150.

L’avvolgimento secondario è fatto direttamente sul primario, ma non è unico, bensì diviso in due parti o sezioni, simmetriche rispetto al primario e disposte alle estremità di quest’ultimo. Il diametro del filo di seta è all’incirca quello del primario. Il numero delle spire è circa  di 150-200, 75-100  per ciascuna sezione.

Ciascuna sezione del secondario è posizionata come già detto, verso una dell’estremità del primario e il suo avvolgimento è realizzato a più strati: ogni strato ha un numero di spire che diminuisce con la distanza dal primario. Il numero delle spire può variare a seconda della frequenza d’accordo, ma non è mai elevato.

Questa era un’innovazione di Marconi, il quale aveva notato che l’efficienza del jigger migliorava nettamente disponendo l’induttanza di ciascuna sezione del secondario a grappolo.

Il jigger veniva inserito nel ricevitore nel seguente modo: gli estremi del primario erano collegati uno alla terra e l’altro all’antenna; le due sezioni del secondario erano inserite vicinissime al coherer, una a destra e l’altra a sinistra e ovviamente in serie con lo stesso tubetto.

Completavano il circuito sintonico un condensatore ai capi del coherer e ancora un altro condensatore di maggiore capacità, inserito tra l’ingresso della prima sezione e l’uscita della seconda sezione dell’avvolgimento secondario.

Per gli approfondimenti sul jigger si rimanda sempre al libro “La telegrafia senza filo” di  A. Righi e B.  Dessau, parte III, cap.III, par. 54, pag. 371.

Reattanze di blocco  (choke)

Per evitare che le correnti ad alta frequenza, circolanti nelle due sezioni dell’avvolgimento secondario del jigger e indotte dall’avvolgimento primario, collegato all’antenna e alla terra, si disperdano nel circuito del coherer, invadendo anche il relè, diminuendo ,così,  la loro efficacia sul tubetto sensibile, Marconi inserisce una reattanza induttiva all’ingresso della prima sezione del jigger ed un’altra, identica,  all’uscita dalla seconda sezione.

In tal modo tutta l’azione delle onde elettromagnetiche, captate dal sistema antenna-terra, viene concentrata sul coherer, evitando qualsiasi dispersione nel circuito del detector, sostanzialmente nel relè.

Marconi chiama queste reattanze induttive con il nome di bobine d’arresto (choke), e  realizza ciascuna di essa avvolgendo un filo sottile,  bene isolato e della lunghezza di 1 yard (91 cm) intorno ad un nucleo di ferro lungo due o tre pollici (5,08 cm o 7,62 cm).

Conclusioni

Quelli che abbiamo illustrato sono i problemi più salienti che Marconi dovette affrontare per realizzare un ricevitore affidabile.

L’avventura cominciò a Villa Griffone, nella stanza dei bachi, nell’autunno del 1894, e proseguì nel 1895 anche all’aperto, nel piazzale antistante la Villa, per andare oltre fino alla Collina dei Celestini, diventata famosa per il colpo di fucile, quando Guglielmo superò la distanza di oltre 2 km, utilizzando la sua geniale invenzione: il bipolo marconiano (antenna-terra), diverso da quello di Hertz.

Nel 1896 il giovane ventiduenne è in Inghilterra, dove riceve tutti i mezzi necessari per continuare i suoi esperimenti. Effettuerà numerosi  esperimenti e perfezionamenti, superando distanze sempre maggiori, collegherà la Francia e l’Inghilterra, e spingerà il wireless a centinaia di chilometri di distanza,  mentre i suoi concorrenti, molto più agguerriti, con i medesimi apparati, si fermeranno a distanze di decine di chilometri, come se gli stessi apparecchi, nelle mani di quel giovane, facessero miracoli.

E questo perché il giovane aveva costruito e costruiva ancora gli apparati con le sue stesse mani, per cui bastava uno sguardo ai vari dispositivi, una regolatina, per portarli alla massima efficienza. Ormai per lui le onde elettromagnetiche non erano più invisibili; le vedeva, le toccava, le dirigeva, le aiutava, le incalanava nell’irraggiamento e nella captazione.

Egli aveva, fin dall’inizio, creduto, con fede incrollabile, nella radiotelegrafia a grande, grandissima distanza; non si arrese mai, anzi lottò sempre con più rinnovato vigore fino al successo: per questo motivo è da considerarsi l’unico vero pioniere delle telecomunicazioni.

La consacrazione dell’opera di Marconi avvenne il 12 dicembre 1901, alle ore 12,30, a Signall Hill, quando un filo di rame, lungo circa 120 metri e sollevato in alto da un cervo volante, captò gli impulsi elettromagnetici, corrispondenti ai tre punti della lettera S, irradiati, sull’Oceano Atlantico, dall’antenna a ventaglio del trasmettitore di Poldhu, impressionando il coherer a goccia di mercurio, che svegliò il ricevitore telefonico, facendo  battere  tre colpi deboli, debolissimi, ma nitidi nell’orecchio del vetisettenne pioniere.

Era nata in quel momento l’era delle telecomunicazioni attraverso le più abissali distanze, come il tempo dimostrerà di lì a poco.

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