22 gennaio 2012

Telegrafo Morse

L’invenzione del telegrafo ha rappresentato una tappa fondamentale nella storia delle comunicazioni in tempo reale tra diversi punti del globo terrestre: un sistema molto semplice, per il cui funzionamento era necessario installare un solo filo tra il sito di trasmissione e quello di ricezione.

L’apparato trasmittente impiegava un semplice tasto, mentre l’apparato ricevente era costituito da un nastro di carta, mantenuto in movimento rettilineo da un congegno ad orologeria e sul quale una punta scrivente ad inchiostro, comandata da una elettrocalamita, inserita nel circuito del tasto e di una batteria, tracciava punti e linee le cui diverse combinazioni corrispondevano a lettere dell’alfabeto, numeri e simboli.


Samuel Finley Breese Morse

Il suo inventore, Samuel Finley Breese Morse, nacque a Charlestown il 27 aprile 1791. Studente pigro e svogliato, dimostrò comunque, fin da ragazzo, grande interesse per la pittura e la scultura, nonché per l’elettricità. Nonostante la scarsa volontà, nel 1810 riuscì a laurearsi in scienze artistiche all’allora College di Yale (oggi Yale University). L’anno dopo si recò a Londra in cerca di fortuna, a seguito del suo maestro, il noto pittore Washington Aliston. A Londra continuò, più seriamente, gli studi di pittura, ma, visto lo scarso successo, nel 1815, decise di ritornare in patria. Qui fondò, con un gruppo di artisti, la “National Academy of Design”.

Nel 1829, si risvegliò la sua vena artistica e si recò in Italia, visitando molte città e incontrando anche una certa fortuna, tanto da vendere una grande quantità di quadri. Prima di ritornare negli Stati Uniti volle visitare anche la Francia, rimanendo affascinato dalle sue bellezze. Il soggiorno europeo lo entusiasmò a tal punto che, rientrando in patria, nel 1832, a bordo della nave Sully, riaffiorò in lui anche la passione mai sopita per l’elettricità, in modo particolare per l’elettromagnetismo, facendogli balenare nella mente l’idea di poter realizzare un sistema di comunicazione in tempo reale e molto semplice.

Ne fu talmente persuaso che, pochi giorni dopo, dimenticando la pittura, cominciò a costruire il primo apparato rudimentale, utilizzando delle strisce di legno di una cornice di un quadro, delle ruote di legno di un vecchio orologio ed un’elettrocalamita, dono di un suo vecchio professore, Torrey. Solo nel 1835, a distanza di circa tre anni, dopo molti tentativi, modifiche e prove, Samuel riuscì finalmente ad ultimare e sperimentare un rudimentale telegrafo, anche grazie all’aiuto di Alfred Vail, più esperto in problemi tecnici.

Vail sviluppò un sistema nel quale ogni lettera o simbolo era singolarmente rappresentato da una combinazione di punti, linee e pause. Il sistema in questione (codice Morse) convinse subito lo stesso Morse, inventore del telegrafo, a tal punto che, nel 1838, lo aggiunse nel brevetto, del quale aveva già presentato domanda all’Ufficio di Washington, da solo, esattamente nel 1837, scatenando così una battaglia legale con il suo collaboratore, che si concluse nell’anno 1840, con l’attribuzione dell’invenzione a Samuel Morse.


Grazie ai finanziamenti concessigli dal Congresso USA, il 24 maggio 1844 fu inaugurata la prima linea telegrafica tra Baltimora e Washington e fu trasmesso il primo messaggio: “What hath God wrought” (Cosa ha fatto Dio). In quello stesso anno, la fama dell’inventore aumentò in modo straordinario, allorché i risultati della Convenzione del Partito Whig, tenutasi proprio a Baltimora, furono comunicati a Washington, grazie al telegrafo, due ore prima che la notizia fosse portata dal treno.

Nominato professore di storia dell’arte all’Università di New York, si trasferì in una casa a Washington Square, dove allestì un laboratorio per continuare le sue ricerche sul telegrafo, progettando un trasmettitore automatico. Ormai ottantenne, morì di polmonite il 2 aprile 1872.

In Italia, la prima linea telegrafica, che collegava Livorno con Pisa, fu inaugurata nel 1847.

Intanto la scienza continuava la sua inarrestabile avanzata con la scoperta delle onde elettromagnetiche, prima teorica (Maxwell, 1864), poi pratica (Hertz, 1887), ed infine prodigiosa (Marconi, 1895), permettendo così di utilizzare il telegrafo Morse addirittura senza fili e su distanze sempre maggiori.


Il codice Morse

Il codice Morse originale consisteva in combinazioni di punti e linee, ognuna delle quali corrispondeva ad un numero. A sua volta, ogni numero corrispondeva ad una parola, la quale era ricavata cercando il numero in un apposito libretto. Ovviamente i numeri venivano trasmessi mediante il tasto telegrafico.

Quando Morse chiese aiuto ad Alfred Vail, molto valente quanto a perizia tecnica, quest’ultimo escogitò un nuovo sistema, molto più originale e pratico, nel  quale ogni lettera o simbolo erano, singolarmente, rappresentati da una combinazione di punti, linee e pause. Proprio questo sistema, conosciuto come codice Morse americano, fu impiegato per trasmettere il primo messaggio.

Il codice Morse, così come escogitato da Vail, rappresenta una delle prime forme di comunicazione digitale. A differenza, però, dei moderni codici binari, che usano solo due stati (comunemente rappresentati da 0 e 1), quello Morse ne usa cinque:

  • punto (.)
  • linea (-)
  • intervallo breve (tra ogni lettera)
  • intervallo medio (tra parole)
  • intervallo lungo (tra frasi)

Il codice Morse può essere trasmesso, oltre  che con la stampa dei punti e delle linee, anche come tono audio, come segnale radio (CW o telegafia on/off senza modulazione), come impulso elettrico attraverso cavo telegrafico, o come segnale meccanico o visivo (luce lampeggiante): questo agevola molto la comunicazione tra radioamatori che non usano la stessa lingua o che hanno grande difficoltà nel comunicare a voce.


Per rappresentare visivamente le lettere e gli altri segni, si ricorre ai punti e alle linee. La lunghezza di un punto determina la velocità di invio del messaggio ed è adottata come unità di tempo. Ad esempio, volendo rappresentare con il sistema Morse, il segnale universale di soccorso (SOS), che fu adottato per la prima volta nella seconda Conferenza Radiotelelegrafica Internazionale di Berlino tenutasi nel 1906, sulla stampante Morse apparirebbe la seguente successione di punti e linee:

. . .  _ _ _  . . .
  S      O      S     
                   
Per rappresentare più correttamente la cadenza temporale è stato adottata la seguente convenzione:
  • il simbolo “=“ corrisponde al segnale on
  • il simbolo “.” corrisponde al segnale off
Ognuno di questi simboli ha la lunghezza di un punto.

Una linea è convenzionalmente tre volte un punto; gli spazi tra i punti e le linee di un carattere sono della lunghezza di un punto; quelli tra le lettere sono come una linea (tre punti); quelli tra parole sono lunghi sette punti.

Con questa convenzione, il messaggio di soccorso apparirebbe così:

= . = . = . . . = = = . = = = . = = = . . . = . = . =

Per familiarizzare con il codice Morse si usa scriverlo e leggerlo usando i fonemi: “ti” per il punto e “ta” per la linea: Così per l’esempio precedente risulterebbe:

.  .  .    _  _  _    .  .  . 
ti ti ti   ta ta ta   ti ti ti

Il codice Morse, così, viene memorizzato ascoltando il suono caratteristico di ogni carattere, come se ogni insiemre di suoni fosse una lettera, e non associando i punti e le linee al suono.


L’invenzione dell’alfabeto Morse è stata una svolta decisiva nella storia dell’umanità. La storia della marina civile e militare è piena di esempi di grandi salvataggi, realizzati per mezzo della radiotelegrafia:

1909 - Il naufragio del transatlantico inglese Republic, entrato in collisione con il piroscafo italiano Florida. Il radiotelegrafista Binns, a bordo del Republic, avvisò quattro navi, che arrivarono in soccorso e trasportarono a bordo del Florida circa duemila naufraghi. In quella occasione il radiotelegrafista Binns rimase al suo posto, chiedendo aiuto per quattordici ore, salvandosi per ultimo su ordine del suo comandante.

1912 - Il tragico affondamento del Titanic, che, nella notte del 14 aprile 1912, con a bordo 2358 persone, urtò contro un iceberg a 270 miglia da Capo Race (Terranova). Circa 705 persone furono salvate dalle navi Carpathia e Olimpic, chiamate in aiuto per mezzo della stazione radiotelegrafica (sistema Marconi). Mr Bride, il marconista, quando fu salvato, prese posto nella cabina radiotelegrafica del Carpathia e rimase a telegrafare per cinque giorni i nominativi dei sopravissuti.

1928 - Il dirigibile Italia e la storia della tenda rossa. Il radiotelegrafista Biagi riuscì a riparare la stazione radio a onde corte rinvenuta nei pressi della navicella, ricostruendo una resistenza danneggiata con la polvere di grafite di una matita. Dopo dieci giorni di disperati tentativi riuscì a farsi sentire. Fu così possibile individuare la posizione della tenda rossa e salvare i sopravvissuti.


Una curiosità: in alcuni modelli di cellulare la Nokia utilizza, come suoneria per avvisare dell’arrivo di messaggi di testo, una sequenza in codice Morse costituita da tre brevi beep, due più lunghi e ancora tre brevi, il cui significato è:
               
. . .  _ _  . . .
  S     M     S

Il 3 maggio 2004, per la prima volta dopo sessanta anni, è stato aggiunto un altro simbolo all’alfabeto Morse: la chiocciola telematica “@”, identificata nel codice Morse con la seguente successione di punti e linee, corrispondente alla combinazione delle lettere A e C:

. _   _ . _ .
 A       C


La nostra riproduzione

L’apparato qui ricostruito rispetta i principi fondamentali di funzionamento dell’originaria macchina Morse, con alcune leggere variazioni, per meglio adattarlo ai vari casi di utilizzo.

Innanzi tutto il movimento a orologeria di trascinamento del nastro di carta è stato sostituito con un motorino elettrico, che compie circa 2,5 giri al minuto ed è alimentato dalla tensione di rete (220 V). Tale motorino è calettato direttamente sull’asse della ruota di legno di rovere, del diametro di circa 25 cm, disposta a destra sulla base di rovere e sostenuta da una torretta in ottone, realizzata con quattro aste filettate verticali, due orizzontali e due piattine, assemblate tra loro e sulla base con rondelle e dadi di ottone. La velocità di trascinamento del nastro di carta, considerati il diametro della ruota e il numero di giri del motorino, è di circa 3,27 cm/sec.


Il supporto di scorrimento del nastro di carta è stato realizzato con due squadri di ottone, affiancati tra loro e sostenuti, anch’essi, da una torretta in ottone, costituita da quattro aste filettate verticali, una orizzontale e tre piattine, anch’esse assemblate tra loro e sulla base di rovere con rondelle e dadi di ottone. Tra le facce verticali degli squadri di ottone sono posizionate quattro coppie di rulli in ottone, delle quali le due centrali leggermente più in alto delle laterali, al fine di ottenere una migliore distensione del nastro di carta durante il suo trascinamento tra i due rulli di ciascuna coppia. A sinistra del supporto di scorrimento è posizionato un altro rullo di ottone per l’alloggio del rotolo di carta, sul quale poggia una piattina di ottone, incernierata alla sua sinistra su un altro rullo di ottone per consentire un regolare svolgimento del rotolo. A destra del medesimo supporto trovasi un altro rullo di ottone per meglio guidare il nastro di carta sulla ruota motrice, la quale ha anche funzione di avvolgimento.

Le facce orizzontali degli squadri di ottone sostengono due aste filettate di ottone verticali e passanti, saldamente fissate con rondelle e dadi di ottone. Queste due aste filettate, che attraversano le facce orizzontali degli squadri, sono irrigidite lungo la loro altezza da sei piattine orizzontali di ottone, tre al di sotto e tre al di sopra del supporto di scorrimento del nastro di carta. Tutte e sei le piattine sono saldamente collegate alle due aste a mezzo di rondelle e dadi di ottone. Per l’individuazione di queste piattine si adotta la convenzione di denominarle con gli aggettivi prima, seconda... fino alla sesta, procedendo dal basso verso l’alto.


La prima piattina collega le estremità inferiori delle due aste filettate e sostiene, anche, l’estremità destra dell’ancora dell’elettrocalamita in condizione di riposo. La seconda e terza piattina sono forate nel centro per permettere il fissaggio, tra di esse, di un tubicino di ottone; in tale tubicino scorre, liberamente e verticalmente, un’altra asta filettata di ottone, che è chiusa, inferiormente, da un dado cieco che poggia sulla parte destra dell’ancora dell’elettrocalamita e, superiormente, da un dado, ugualmente cieco, di plastica, di colore bianco, sagomato in alto a forma di dischetto. Tale dischetto è posizionato sotto il nastro scorrevole di carta a una distanza di circa 1 mm.

La parte inferiore dell’asta filettata scorrevole, compresa tra la prima e seconda piattina, è avvolta da una lunga molla elicoidale, leggermente compressa tra il dado cieco di ottone e la seconda piattina, in modo che l’intera asta filettata scorrevole eserciti, mediante lo stesso dado cieco, una leggera pressione sulla parte destra dell’ancora dell’elettrocalamita, favorendone il ritorno alla posizione iniziale, una volta cessata l’attrazione da parte dell’elettrocalamita stessa. Per accelerare questo ritorno, al fine di aumentare la velocità di trasmissione dei punti e delle linee, all’estremità destra dell’ancora dell’elettrocalamita è posizionata, mediante uno spezzone di asta filettata,rondelle e dadi di ottone, una sfera piena di ottone del diametro di 2,5 cm e del peso di circa 70 g.


La quarta, quinta e sesta piattina, situate al di sopra del supporto di scorrimento del nastro di carta, servono per l’alloggio del pennarello scrivente. Tutte e tre sono forate nel centro. La quarta ha un foro di diametro più piccolo di quello della quinta per permettere l’infilaggio del pennarello dall’alto, attrverso la seconda piattina: la punta scrivente si trova a una distanza di circa 2 mm dal nastro di carta.

La sesta piattina ha lo scopo di conservare elasticamente la sede del pennarello; infatti nel suo foro centrale è stato inserito un pozzetto di ottone, capovolto, all’interno del quale una molla elicoidale spinge il dischetto mobile di chiusura del pozzetto contro l’estremità superiore del pennarello, il quale, quindi, può solo traslare verticalmente di qualche millimetro, solo per assorbire, dolcemente, il colpo inferto sulla punta scrivente dal dischetto del dado cieco di plastica, a seguito della spinta verso l’alto inferta, a sua volta, all’asta filettata scorrevole dal sollevamento della parte destra dell’ancora, allorquando essa viene attratta dall’elettrocalamita durante il funzionamento del telegrafo. La sesta piattina è fissata alle due aste filettate verticali di ottone non in maniera rigida, ma con due nottolini di ottone facilmente manovrabili a mano. Inoltre questa piattina presenta il foro di fissaggio solo ad un’estremità, mentre all’altra estremità il foro non è circolare ma partendo dal centro si prolunga rettangolare fino al bordo. Questa forma permette alla sesta piattina di ruotare intorno all’asta filettata di ottone dalla parte del foro circolare, consentendo di liberare, lungo la verticale, lo spazio necessario per l’immissione e l’estrazione del pennarello.


L’elettrocalamita è costituita da un nucleo di ferro dolce costituito da una piattina di ferro con due fori terminali, per il suo serraggio sulla torretta di sostegno; su tale piattina, verso la zona centrale e simmetricamente, sono saldate due colonne, pure di ferro, di sezione quadrata (20 x 20 mm); su queste colonne verticali sono infilate due bobine di filo di rame, collegate in parallelo, ciascuna funzionante con la tensione di rete (220 V).

L’ancora è costituita da due parti:
  • una piattina di ferro dolce di dimensioni 80 x 25 x 6 mm;
  • un’altra piattina di ottone dello spessore di 4 mm, perpendicolare alla prima.
Questa seconda piattina è incernierata, nella sua parte centrale, intorno ad un asse costituito da uno spezzone di asta filettata, passante in tubicini di ottone, per ridurre l’attrito; tutto il sistema a cerniera,  interamente in ottone, è posizionato sulla piattina inferiore delle due aste filettate del supporto di scorrimento del nastro di carta, situate a sinistra. Tale cerniera permette il movimento di rotazione dell’ancora nel piano verticale.

All’estremità sinistra la piattina di ottone tiene fissata la piattina di ferro dolce mediante quattro bulloni di ottone; all’estremità destra, come già descritto, è sistemata la sferetta di ottone piena, la quale, insieme alla leggera pressione esercitata dal dado cieco di ottone dell’asta scorrevole che porta il nastro di carta scorrevole a contatto con la punta scrivente, tiene sollevata la piattina di ferro dolce dai due poli dell’elettrocalamita a una distanza di circa 5 mm. Per evitare che la piattina di ferro dolce, durante il funzionamento, resti attaccata sui due poli, per i noti fenomeni dell’induzione residua, sui poli stessi sono state incollate due rondelle di ottone, in pratica due spire, le cui correnti indotte favoriscono il distacco. Il complesso dell’elettrocalamita è sostenuto da una torretta di ottone, fissata sulla base di rover e realizzata con due spezzoni di aste filettate, rondelle e dadi di ottone e due ripiani di legno.


Sulla base di rovere sono installati anche i seguenti dispositivi:
  • una suoneria incassata, al centro della base stessa, per l’avviso di chiamata;
  • un trasformatore (220 V - 12 V) di colore grigio, a sinistra in alto;
  • un relè di colore azzurro, a destra in alto, con bobina di eccitazione a 12 V, la cui funzione è quella di chiudere contatti a 220 V.
Per descrivere i vari circuiti elettrici occorre tenere presente, innanzitutto, che l’apparato funziona solo con la tensione di rete (220 V) e, poi, che esso può essere utilizzato in due modi diversi:

A) come semplice appararato telegrafico Morse;
B) come apparato telegrafico Morse collegato a una stazione radiotelegrafica ricevente a coherer.

Mancando il classico congegno a orologeria per il trascinamento del nastro di carta, occorre una tensione permanente di 220 V (tensione T1) per alimentare il motorino elettrico, sul cui asse è calettata la ruota motrice di legno.

In più è necessaria la tensione di 220 V, modulata, nella durata di applicazione (tensione T2), secondo il ritmo del tempo che occorre al manipolatore del tasto per trasmettere, secondo le convenzioni, il punto, la linea e le pause o altri segnali, come ad esempio l’avviso di chiamata. Questa seconda tensione è quella che aziona l’elettrocalamita e la suoneria.


Come si può notare dalle foto, sulla fiancata sinistra della base, sono presenti quattro morsetti, per la cui individuazione si adotta la convenzione di designarli con gli aggettivi primo, secondo, terzo e quarto, procedendo dal basso verso l’alto. Il terzo e il quarto morsetto, entrambi neri, sono collegati tra loro e quindi, in pratica, equivalgono ad unico morsetto, per cui è indifferente eseguire un collegamento sul terzo o sul quarto.

Inoltre sulla fiancata frontale sono situati quattro interruttori bipolari a clip; per la loro individuazione si adotta la convenzione di designarli con gli aggettivi primo, secondo, terzo e quarto, procedendo da sinistra verso destra. Sulla stessa fiancata, al centro, sono disposti due morsetti (uno di colore rosso, l’altro di colore nero), i quali servono per il collegamento alla linea o direttamente al tasto in caso di dimostrazione o di messa a punto; per dimostazioni veloci si può usare il pulsante, quadrato, di colore rosso, posizionato tra i due morsetti, premendo il quale si cortocircuitano gli stessi morsetti, compiendo la stessa funzione del tasto.

Per ben illustrare, poi, il funzionamento elettrico dell’apparecchiatura, i due poli della tensione alternata saranno identificati con i classici attributi: fase e neutro.


OPZIONE DI FUNZIONAMENTO A
Semplice apparato telegrafico Morse

In questo caso la tensione di rete (220 V) va applicata nel modo seguente:
  • il primo morsetto (rosso) va connesso alla fase;
  • il quarto o il quinto morsetto (entrambi neri) va connesso al neutro;
  • il secondo morsetto (rosso) è disconnesso.
Effettuati i collegamenti alla tensione di rete (220 V), occorre predisporre la macchina Morse per questo tipo di funzionamento.

La  prima operazione consiste nel chiudere l’interruttore tripolare a clip, presente al centro della fiancata sinistra: con questa operazione l’apparato è sotto tensione (220 V), e questo stato è segnalato dall’accensione delle due spie di colore verde, posizionate, una davanti ai due morsetti rossi, l’altra davanti ai due morsetti neri. Quando il funzionamento dell’apparato è del tipo A, dell’interruttore tripolare si sfruttano solamente due vie; la terza via, centrale, non è attivata, perché il secondo morsetto rosso è disconnesso. Questo morsetto sarà connesso, come si illustrerà nel seguito, quando si opta per il funzionamento del tipo B.

La seconda operazione consiste nel chiudere il primo interruttore bipolare a clip: si accende così la spia rossa davanti la suoneria incassata (al centro della base). La suoneria, però, non squilla, perché non è ancora giunto l’avviso di chiamata, il quale ovviamente, deve arrivare dalla linea tramite il tasto telegrafico, secondo la convenzione stabilita (tre squilli brevi o uno squillo lungo o altro tipo di squillo convenuto). Quando si chiude il primo interruttore bipolare a clip la tensione di rete (T1)  arriva soltanto alla spia rossa che si accende, mentre alla suoneria arriva solamente la fase, ma non il neutro: ecco perché non si ode alcun squillo. Per azionare la suoneria occorre un neutro modulato secondo il ritmo del tempo, cioè la tensione T2, come spiegato precedentemente.


La terza operazione è quella che permette di formare il neutro modulato. Allo scopo si chiude il terzo interruttore bipolare a clip: immediatamente si accende la spia rossa al centro della fiancata posteriore, segno che la tensione T1 è giunta al primario del trasformatore, di colore grigio, a sinistra sul retro. La tensione (12 V) del secondario di questo trasformatore alimenta il circuito composto dalla bobina di eccitazione del relè, di colore azzurro, sul retro a destra, dalla linea di trasmissione e dal tasto. Se a questo punto si abbassa il tasto telegrafico o si preme il pulsante quadrato di colore rosso, i contatti del relè si chiudono e permettono al neutro della tensione di T1 di trasferirsi alla suoneria per una durata uguale a quella di abbassamento del tasto o di pressione sul pulsante quadrato. In questo modo si è generata la tensione modulata T2. La suoneria comincia a squillare secondo le modalità convenute, comunicando l’avviso di chiamata. Ovviamente togliendo il dito dal tasto o dal pulsante non si ode più alcun squillo. Quando si attiva la tensione modulata T2, essa non può eccitare l’elettrocalamita, perchè il secondo interruttore bipolare a clip è aperto e quindi ad essa arriva solo il neutro modulato, ma non la fase. Come si può notare, l’operatore telegrafico, che manipola il tasto, agisce in condizioni di sicurezza, perché il tasto e la linea sono inseriti in un circuito a 12 V e non a 220 V.

La quarta operazione si attiva immediatamente dopo l’avviso di chiamata e si svolge con tre manovre da eseguirsi ordinatamente in un tempo ragionevolmente breve. Per prima cosa si apre il primo interruttore a clip, escludendo, dopo l’avviso di chiamata, la suoneria: la sua spia rossa si spegne. Poi si chiude il quarto interruttore bipolare a clip; immediatamente la tensione T1 si trasferisce sia al motorino che aziona la ruota di legno che inizia a girare, trascinando il nastro di carta, sia alla spia rossa, sotto la ruota, che si accende. Infine si chiude il secondo interruttore bipolare a clip; immediatamente la tensione T1 arriva alla spia rossa, davanti l’elettrocalamita, accendendola e contemporaneamente la fase arriva a uno dei due terminali di ciascuna delle due bobine dell’elettrocalamita; l’altro dei due terminali di ciascuna delle due bobine dell’elettrocalamita è pronto per ricevere, appena si manipola il tasto telegrafico, il neutro modulato della tensione T2, in quanto è rimasto chiuso il terzo interruttore bipolare a clip: ora, manipolando il tasto, è possibile stampare i punti e le linee e, quindi, ricevere il messaggio.


Come si nota dalle foto, sulla fiancata destra è presente un pulsante circolare di colore rosso; premendolo s’interrompe la corrente che va al motorino  e quindi la ruota si ferma. Questa manovra può risultare utile, in alcuni casi, per stabilire il verso di rotazione. Infatti, non essendo questo verso fisso, premendo ripetutamente due, tre volte il pulsante si riesce facilmente a cambiare il verso di rotazione.

Terminata la trasmissione, per spegnere l’apparato basta aprire l’interruttore tripolare, il secondo, il terzo e il quarto interruttore bipolare, tutti a clip. Il primo interruttore bipolare a clip è stato già aperto con la  quarta operazione.


OPZIONE DI FUNZIONAMENTO B
Apparato telagrafico Morse, collegato a una stazione radiotelegrafica ricevente a coherer

In questo caso l’apparato è collegato alla stazione radiotelegrafica ricevente a coherer. Quest’ultima, dal punto di vista elettrico, è un quadripolo. In essa l’ingresso è rappresentato dai due morsetti, di colore nero, ai quali si applica la tensione T1. L’uscita, invece, è rapprentata dai due morsetti, di colore rosso, dai quali esce la tensione T2. Queste due coppie di morsetti sono posizionati sul lato sinistro della base di rovere della stazione ricevente.

La tensione T2 ha già il neutro modulato nella durata di applicazione, in quanto essa è presente sui morsetti rossi solo per la durata di manipolazione del tasto nella stazione trasmittente trasmittente e, quindi, è presente solo per la durata dei punti e delle linee che compongono il messaggio trasmesso e captato tramite il coherer. Pertanto, nell’apparato Morse non è più necessaria la terza operazione, descritta nell’opzione di funzionamento A; perciò, il terzo interrutore bipolare a clip deve rimanere aperto, in quanto non sono più necessari il trasformatore ed il relè.


Manca, però, all’apparato Morse il neutro di rete, quello della tensione T1, in quanto, come già detto, all’uscita della stazione a coherer è presente solo la tensione T2. In queste condizioni, il motorino
che aziona la ruota di legno di trascinamento del nastro di carta non potrebbe essere alimentato, perché per esso necessita proprio la tensione T1, al fine di assicurare la continuità del moto per tutta la durata di trasmissione del messaggio.

Il neutro di rete, però, è facilmente prelevabile dalla stazione ricevente su uno dei due morsetti neri, nei quali entra proprio la tensione T1.

Tutto quanto espresso letteralmente riesce immediatamente comprensibile, esplicitando, visivamente, lo schema di collegamento dei quattro morsetti della stazione ricevente a coherer ai quattro morsetti del telegrafo Morse.

Affiancando i quattro morsetti della stazione ricevente e i quattro morsetti della macchina Morse si ha la seguente vista:


Le coppie di morsetti, come si vede, sono perfettamente affiancate e allineate e sono corrispondenti anche i colori.

Eseguiti i collegamenti tra le due apparecchiature, occorre prdisporre la macchina Morse per il funzionamento del tipo B. Le operazioni sono perfettamente identiche a quelle descritte per il funzionamento tipo A; occorre solo ricordare che bisogna saltare quella relativa alla generazione del neutro modulato e, quindi, che il terzo interruttore bipolare a clip non va azionato, cioè, deve rimanere sempre aperto, come se non fosse presente, non essendo più necessari il trasformatore (220 V - 12 V) ed il relè.





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